L’era d’oro delle biotecnologie: le nanobiotecnologie

Nell’articolo “biotecnologie, facciamo chiarezza” abbiamo descritto il modello del biotechnology rainbow, proposto nel 2004 da Da Silva. Nell’attribuzione dei colori e i rispettivi settori, le gold biotechnologies sono state associate alle cosiddette nanobiotecnologie, forse perché accomunate dall’elevato pregio. Ma cosa sono le nanobiotecnologie?

 Le nanobiotecnologie rappresentano l’intersezione fra le biotecnologie e nanotecnologie, branca della scienza il cui focus sono la creazione e l’ottimizzazione di differenti materiali o strutture, misurate su scala nanometrica. L’interazione fra queste due discipline mira a creare, migliorare e utilizzare nanostrutture, nell’ottica di applicazioni biotecnologiche avanzate.

Il concetto di nanotecnologie fu sviluppato nel 1974 dal professor Norio Taniguchi e questa disciplina ricevette la dovuta attenzione a partire dagli anni ’80. Le nanotecnologie si basano sul concetto di nanoparticelle (NPs), particelle con dimensioni nell’ordine dei 1-100 nm, in ciascuna direzione. Parliamo di aggregati di atomi, ioni, molecole, misurati in nanometri, ovvero della miliardesima parte di un metro.

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Campi di utilizzo delle NPs

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Si è parlato dell’exploit delle nanotecnologie, impiegate nella formazione di strutture dalle forme variegate: nanopori, nanotubi, nanocanali, nano-chips e nanocondensatori, spesso formati a partire da strutture molecolari metalliche, quali oro, argento, palladio, platino e zinco. Queste NPs e nanodevices hanno permesso e permettono svariate applicazioni. Si va dall’ambito agricolo e biomedico, fino a quello della catalisi e dell’elettronica. In particolare, le NPs metalliche sono utilizzate per differenti finalità:

  • Nell’ambito dell’elettronica, trovano applicazione come conduttori in sistemi di nanochips. Con il progressivo rimpicciolimento della componentistica, tali elementi trovano applicazione nella connessione delle diverse parti formanti i chips;
  • Nella catalisi di svariate reazioni chimiche, dove le differenti particelle metalliche possono agire come agenti ossidanti o riducenti. Inoltre l’associazione con di queste particelle con enzimi purificati da svariati sistemi biologici trova impiego nella biocatalisi, dove la NP agisce da carrier dell’enzima, facilitando il recupero del complesso NP-enzima (mediante magneti, ad esempio) per il successivo riutilizzo;
  • Nella sensoristica, diverse particelle metalliche trovano applicazione per svariati tipi di detection. Per esempio, sensori colorimetrici basati su NPs di oro sono utilizzati per valutare la possibilità di consumare determinati cibi (come nel caso di sofisticazioni alimentari legate al consumo di specifiche carni, in relazione a un dato culto);
  • Nel campo della microscopia, diverse NPs, a base di oro in primis, sono utilizzate come sonde. Irradiate con specifiche lunghezze d’onda della luce, le particelle metalliche emettono lunghezze d’onda minori, caratterizzate da specifiche colorazioni, permettendo di identificare dove la particella si sia localizzata all’interno di un campione. La densità relativamente alta di queste particelle le rende ideali anche per tecniche di microscopia elettronica a trasmissione, dove risulta prontamente visibile la localizzazione della NP;
  • Nell’area medica, le NPs trovano applicazioni in diversi campi della disciplina. Infatti le NPs metalliche sono presenti in dispositivi diagnostici legati alla detection di patologie cardiache, tumorali e processi infettivi, oltre che nei comuni test di gravidanza. Le particelle sono utilizzate anche come carriers, sulla cui superficie vengono legate le molecole ad azione terapeutica, indirizzando il principio attivo verso tessuti specifici, tramite somministrazione puntuale del complesso particella-farmaco. Inoltre le NPs metalliche trovano applicazione nella cosiddetta terapia fotodinamica. Anche in questo caso le particelle vengono somministrate in specifici tessuti del paziente, in corrispondenza di formazioni tumorali, in questo caso. L’irraggiamento con radiazioni vicine all’IR (700-800 nm) porta all’emissione di calore da parte delle particelle, risultante nell’uccisione delle cellule tumorali;
  • Sharifiet al. (2016) hanno dimostrato l’efficacia di nanoparticelle di SiO2 a livello agricolo, come agente promotore della germinazione, dell’allungamento dell’apparato ipogeo ed epigeo e di un incremento della biomassa finale, sia in colture agrarie che piante infestanti.

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nanoparticelle d'oro prodotte con tecniche che rifanno alle nanobiotecnologie

Nanoparticelle d’oro viste al microscopio elettronico a trasmissione.

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Biotechnologically-derived NPs

Negli ultimi anni si è assistito a una sintesi di NPs a base di metalli nobili, a partire da fonti naturali. La fattibilità dei processi ha spinto e sta spingendo la ricerca verso una produzione più eco-friendly di questi nanocomplessi metallici. Avvalendosi di vitamine, lipidi, proteine, carboidrati, estratti botanici e interi microrganismi, i ricercatori hanno ottimizzato la produzione di diverse tipologie di NPs, formate da metalli, ma anche da ossidi metallici e sali.

Rispetto alla tossicità dei trattamenti necessari alla riduzione di sali metallici (utilizzo di solventi e reagenti, oltre all’ingente consumo di energia), volta alla creazione delle NPs, il trattamento biologico porta indubbi vantaggi sotto il punto di vista dell’ecosostenibilità, delle potenzialità di riutilizzo e dei costi.

Diversi studi hanno dimostrato le potenzialità di batteri, lieviti, funghi filamentosi, piante, alghe, organismi fotosintetici e organismi marini nell’ambito della biosintesi di NPs metalliche.

Una fra le maggiori differenze nella biosintesi di queste particelle sta nel luogo in cui avviene l’effettiva riduzione dei sali metallici, ovvero se gli enzimi o i riducenti applicati agiscano intra- o extracellularmente (tipicamente sulla superficie cellulare, in questo caso).

Immaginando un tank contenente una soluzione contenente un sale metallico e una componente biologica riducente, una reazione che avviene direttamente nel liquido, senza l’introgressione cellulare del metallo, agevola la recovery della NP generata. D’altra parte l’assimilazione del catione metallico da parte della cellula può portare a composizione di NPs variamente strutturate, in termini di dimensioni e forme, già pronte per specifiche applicazioni.

La situazione appena descritta, in contesti di crescente circolarità, spinge il mondo della ricerca verso la valutazione delle potenzialità di tutta la variabilità biologica esistente. Infatti alle applicazioni viste sopra, nuove applicazioni, nell’ottica della green chemistry, stanno prendendo piede a partire da queste NPs metalliche biosintetizzate. Passiamo rapidamente in rassegna i protagonisti della biosintesi delle NPs metalliche:

Piante

varie parti di piante, quali foglie, radici, lattice, frutti, semi e fusti vengono impiegati per la sintesi di NPs metalliche. I principali responsabili della conversione redox sono i polifenoli, abbondantemente presenti in questo Regno. Rispetto ad altri sistemi biologici, l’utilizzo di parti di pianta, come possono essere scarti di potatura o sottoprodotti di varie industrie, eleva all’ennesima potenza il concetto di circular economy e di sostenibilità.

Un esempio proviene da una ricerca pubblicata nel 2013 da Haldar e collaboratori. Utilizzando frutti essiccati di piante del genere Putranjiva, gli studiosi hanno ottimizzato la biosintesi di nanoparticelle di argento, le quali sono state impiegate contro Culex quinquefasciatus e Anopheles stephensi, zanzare vettrici di molteplici malattie. L’attività delle NPs di argento ha dato altissime mortalità degli insetti allo stadio larvale, a dosi molto basse, non mostrando tossicità su organismi diversi da quelli target.

Funghi

questi organismi sono noti per la capacità di ridurre ioni metallici tramite la produzione di enzimi (chiamati reduttasi) presenti nel citoplasma e nella parete cellulare. L’interesse del mondo della ricerca verso questo Regno si spiega con i differenti habitus in esso. Si hanno organismi uni- e pluricellulari, in grado di biosintetizzare NPs intra- o extracellularmente, offrendo un pool di soluzioni differenti. Inoltre, la rusticità di questi organismi, unita alla ridotta necessità di processamento rende possibile la messa in atto di processi economicamente sostenibili.

Gli ioni prevalentemente ridotti allo stato metallico sono quelli di oro e argento e i generi più promettenti sono Aspergillus, Fusarium, Penicillium e Verticillium. Anche in questo caso non mancano le applicazioni delle NPs prodotte. Come dimostrato da Rahimi et al. (2015), NPs di argento prodotte da Penicillium aculeatum, cresciuto in coltura liquida contenente sali d’argento, hanno dimostrato attività contro Echinococcus granulosus, parassitosi intestinale del cane.

Batteri

rispetto ai funghi appena trattati, con cui condividono alcuni aspetti della coltivazione su scala industriale, i batteri presentano un indubbio vantaggio; i sistemi batterici sono facilmente ingegnerizzabili, e di conseguenza consentono di ottenere sistemi in grado di produrre NPs intra- ed extracellulari, nel rispetto delle specifiche tecniche. Tuttavia a frenare applicazioni implicanti questi organismi è la velocità di reazione, che non riesce a tenere il passo con altri organismi.

Alghe

le attività relative al mondo delle nanobiotecnologie in questo raggruppamento sono molteplici e il motivo è presto spiegato; la terminologia alghe non ha valore tassonomico. Sono numerosi i Regni formanti questo raggruppamento, accomunati dall’habitat colonizzato, quello acquatico, e dal regime trofico, ovvero di organismi che traggono il carbonio organico dalla fotosintesi ossigenica. Diversi generi algali hanno dato prova di essere in grado di crescere in soluzioni acquose implementate con sali di argento e oro, andando a produrre NPs, con forme e dimensioni delle NPs dipendenti dai parametri colturali. Ma anche la biomassa spenta (ciò che rimane in seguito all’inattivazione cellulare) ha svolto la riduzione dei cationi metallici, in ragione di diverse categorie di molecole ad attività antiossidante, come le ficocianine. Inoltre diverse diatomee (alghe brune afferenti al Regno Chromista) presentano una parete rigida e spessa, chiamata frustolo, ricca di NPs di SiO2 .

Esistono poi delle microalghe magnetosensibili, che accumulano all’interno della cellula NPs di magnetite (FeO4) o greigite (FeS4), chiamati magnetosomi. Queste strutture reagiscono ai campi magnetici e le alghe che li presentano (Chlamydomonas, Anisonema) mostrano interesse per la coltivazione volta all’utilizzo di queste NPs. Inoltre la presenza di “magneti interni” alle cellule agevola e non di poco il dewatering, ovvero la separazione delle cellule dal brodo colturale a fine ciclo, fase che può risultare molto onerosa.

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Le nanoparticelle virali

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I virus sono entità biologiche con caratteristiche di parassiti obbligati, in quanto si replicano esclusivamente all’interno delle cellule degli organismi. I virus possono infettare tutte le forme di vita, dagli animali, alle piante, ai microrganismi e anche altri virus. Quando non si trovano all’interno della cellula ospite, i virus inattivi prendono il nome di virioni. Queste strutture sono costituite dal materiale genetico (DNA o RNA a singola o a doppia elica), da un rivestimento proteico autoassemblante, chiamato capside, e talvolta da lipidi circondanti il capside. La frazione proteica del capside, costituita da tante subunità chiamate capsomeri, sta attraendo la ricerca, in quanto fonte di nuovi nanomateriali completamente biologica; le nanoparticelle virali (VNPs).

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virione contenente materiale genetico

Assemblamento delle subunità capsidiche attorno al RNA del Tobacco Mosaic Virus.

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Abbiamo constatato come le NPs metalliche trovino impiego anche nella diagnostica e nella terapia umana, per patologie di grave entità. Tuttavia, i metalli costituenti le particelle presentano un certo grado di tossicità per il sistema umano. L’utilizzo di particelle virali in sostituzione di quelle metalliche presenta quindi indubbi vantaggi, ma bisogna assicurarsi che i sistemi virali non causino patologie nel nostro sistema. A tal fine la ricerca sulle VNPs si è focalizzata sui fitovirus, i virus delle piante. Solitamente questi virus presentano uno o due filamenti di RNA circondati da proteine (le subunità capsidiche) con motivi altamente ripetuti, assemblate in modo da dare due strutture capsidiche caratteristiche, quella elicoidale, tipica del Tobacco Mosaic Virus (TMV) e quella icosaedrica, tipica del Cowpea Mosaic Virus (CMV).

Gli approfonditi studi condotti sulla struttura tridimensionale capsidica dei diversi fitovirus e delle regioni genetiche, altamente conservate, codificanti le subunità permettono di ragionare anche su potenziali trasformazioni genetiche sulla struttura capsidica, senza interferire sui meccanismi di assemblaggio delle subunità.

Rispetto alla riduzione di sali metallici in una soluzione acquosa, può sorgere il dubbio su come avvenga la produzione delle VNPs. Essenzialmente vi sono due metodi per produrre le desiderate coating proteins:

  •  Infection approach – il virus prescelto per la produzione di VNPs viene inoculato su piante ospiti a lui gradite, all’interno delle quali svolge una proliferazione sistemica. In un secondo momento seguirà l’estrazione dei virus dai tessuti vegetali, seguendo protocolli standardizzati;
  • Capsidic expression approach – essendo note le sequenze geniche codificanti le subunità proteiche con il relativo auto assemblaggio, vengono utilizzati sistemi di espressione eterologa, ovvero le sequenze geniche designate vengono inserite in sistemi batterici o di lievito, che esprimeranno le proteine, in grado di auto assemblarsi. A questa fase seguirà l’estrazione dei capsomeri assemblati.

Entrambi i metodi di produzione risultano validi, mostrando interessanti peculiarità. Il metodo infettivo richiede, durante il downprocessing, un’inattivazione virale, onde evitare pericoli di contaminazione delle piante a seguito di dispersione casuale di materiale biologico, tuttavia questo metodo permette di ottenere elevate rese, in ragione di un’espressione diffusa nell’intero ospite vegetale. D’altra parte l’espressione capsidica permette di ottenere in vivo i singoli capsidi assemblati, privati del corredo genetico. In ambedue i casi, i capsidi ottenuti possono poi essere “trattati” in vitro per disassemblare e, in seguito a modifiche funzionali all’utilizzo prescelto, riassemblare le subunità capsidiche.

Le VNPs prodotte trovano applicazione primariamente in ambito biomedico, come nanocarrier  deputati al trasporto di molecole d’interesse. Infatti, modificando le condizioni operative (pH, buffers, ecc.) è possibile modificare la permeabilità del capside virale, permettendo l’ingresso di molecole target nella strategia nota come infusion. Nel caging invece, subunità capsidiche vengono inserite in una soluzione contenente le molecole target, che rimangono intrappolate durante l’autoassemblato del capside. In entrambi i casi si ottengono VNPs contenenti molecole da utilizzarsi per diversi scopi, fra cui la chemioterapia, ma anche in approcci di terapia e silenziamento genico. Le molecole carrier possono essere farmaci, proteine, ma anche acidi nucleici, RNA in primis.

La domanda potrebbe sorgere spontanea: “perché è necessaria questa azione di guida da parte delle VNPs nei confronti del farmaco?”

Alcune molecole sono troppo poco solubili, vengono eliminate velocemente dal nostro organismo o non riescono ad oltrepassare la membrana cellulare e quindi necessitano di un carrier. Carrier che deve essere abbastanza piccolo da circolare nel flusso sanguigno, non tossico, biocompatibile e capace di penetrare nelle cellule, caratteristiche ritrovabili nelle VNPs.

A questo punto una delle più grandi sfide della farmacologia è la delivery del complesso VNP-farmaco alla zona di interesse. Tuttavia esistono dei punti d’incontro fra le proprietà delle VNPs e i tessuti bersaglio.

Per esempio, è stata dimostrata una maggior distribuzione di VNPs provenienti dai virus CPMV, CCMV, TMV, e PVX nei tessuti tumorali, in quanto le cellule cancerogene sono caratterizzate da una maggior permeabilità a nanomateriali delle dimensioni di VNPs rispetto alle cellule sane, e mostrano anche maggior ritenzione di queste particelle, agevolando un rilascio puntuale dei farmaci interni ai carriers capsidici. Altro esempio degno di nota è quello delle integrine, recettori di superficie, maggiormente espressi nelle cellule tumorali. Modificando geneticamente i carrier capsidici derivati dal CPMV con motivi amminoacidici compatibili alle integrine, è possibile aumentare la delivery dei farmaci verso le cellule tumorali.

Le strategie appena descritte si concretizzano anche nel campo del bioimaging, servendosi di molecole luminescenti come cargo, permettendo di visualizzare specifiche regioni all’interno dell’organismo.

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Oggi abbiamo messo sotto la lente di ingrandimento una branca delle biotecnologie (ma anche delle nanotecnologie) meno nota ai più, ma con incredibili ricadute nella vita di tutti i giorni. Abbiamo anche visto come la ricerca continui a testare i propri limiti, ricercando soluzioni sempre più green e biocompatibili, con dimensioni su scala nano, ma dal valore spesso inestimabile.

Stay Tuned!

Team BGreen

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