Biotecnologie a tavola: tradizione o innovazione?

Il valore globale del comparto alimentare ha superato i 7,5 triliardi di dollari nel 2019 e si prevede un balzo a 9,4 triliardi nel 2022. In Italia, l’industria alimentare è il 1° settore manifatturiero per fatturato, pari a 140 mld di € nel 2018 [1]. A livello europeo, l’industria alimentare italiana si inquadra come player per numero di imprese (dopo la Francia), per numero di occupati (dopo Francia e Germania) e per valore aggiunto generato (dopo Francia, Germania, Regno Unito e Spagna).

In ambito italiano, il settore è trainato da piccole e medie imprese, che fondano le ragioni del successo sulla tipicità del prodotto e sugli elevati standard qualitativi. A tutela e a garanzia di tali caratteristiche, l’Italia è assoluta protagonista della “DOP Economy [2], con 822 denominazioni fra DOP, IGP, STG, sulle 3000 mondiali, per un valore di 15 mld di € alla produzione e di 8,8 mld all’export!

ravioli a richiamare la dop economy

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Ma cosa c’entrano le biotecnologie con tutto questo?

In realtà le yellow biotech si calano perfettamente nel settore dell’industria alimentare italiana, attraverso tecnologie sfruttate, più o meno consapevolmente, da millenni. Infatti non dobbiamo cadere in inganno, non si tratta di nulla di strano: come abbiamo già osservato nell’articolo “Biotecnologie: facciamo chiarezza”, il concetto di biotech racchiude l’utilizzo di materiale biologico per produrre un bene o compiere un’attività. Un esempio noto a tutti è la lievitazione di un impasto ad opera del lievito di birra.

Il meccanismo della fermentazione microbica è l’applicazione principale nella produzione di svariati cibi e bevande, come il pane, il vino, la birra, i formaggi e i salami. Durante la proliferazione sul substrato alimentare, le colonie microbiche trasformano il substrato nel prodotto desiderato, di fatto guidando il processo di produzione del prodotto così come lo conosciamo e lo apprezziamo.

impasto del pane in fermentazione

Si può affermare che solo dal XVII secolo, con la scoperta dei microrganismi, il processo fermentativo è stato condotto coscientemente. Eppure fin dall’antichità, dove queste trasformazioni sembravano qualcosa di scontato o imputabili al “Bacco” di turno, questi processi erano e sono fortemente auspicati per una serie di motivi:

  • aumento della shelf life del prodotto (aspetto fondamentale nell’antichità dove non si poteva ricorrere alla refrigerazione per la conservazione di cibi e bevande);
  • modifica del profilo organolettico, del sapore, del colore e della consistenza;
  • maggior salubrità.

Questi aspetti sono fondamentali per arrivare a prodotti finiti che possano essere commercializzati in tutto il mondo grazie alla durevolezza del prodotto e soprattutto grazie al sapore.

variabilità della birra e della fermentazione

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I protagonisti della fermentazione

I microrganismi fermentanti, definiti protecnologici, sono convenzionalmente suddivisi in due classi:

  • Autoctoni, i quali sono già presenti sulla superficie o all’interno della materia prima oggetto di fermentazione. In questo caso è molto forte l’impronta locale del prodotto e di conseguenza la sua unicità, a causa delle popolazioni microbiche tipiche;
  • Inoculati, i quali vengono aggiunti alla materia prima oggetto di fermentazione, a seguito dell’attività di ricerca.

Il secondo caso, è stato ed è uno degli ambiti più studiati e d’interesse. Infatti la ricerca si concentra su microrganismi che svolgano la fermentazione in modo più performante e che soddisfino gli standard qualitativi del prodotto in esame. Si va dalla tolleranza a composti limitanti la fermentazione (come lieviti tolleranti a maggiori concentrazioni di etanolo), alla produzione di aromi particolari (come l’attività proteo-lipolitica esercitata dai microrganismi all’interno e sulla superficie dei salami, che garantisce aromi caratteristici), fino alla produzione di molecole che inibiscano la crescita di microrganismi patogeni (es. peptidi noti come batteriocine).

vino salame e pane

Viste e considerate le potenzialità dei microrganismi protecnologici, le biotecnologie garantiscono attività di selezione e miglioramento per immettere sul mercato ceppi in grado di rispondere alle esigenze dei produttori. Ad esempio, previo campionamento della flora microbica tipica e successivo isolamento, è possibile creare colture selezionate di starter microbici, successivamente inoculati nella materia prima oggetto di fermentazione. In questo modo l’alimento prodotto viene standardizzato, mantenendo al contempo le sue caratteristiche d’unicità.

Concludendo, le biotecnologie posso rivestire un ruolo chiave nel supporto alla filiera produttiva d’alta qualità che caratterizza il panorama italiano. Inoltre la biodiversità microbica, capace di attuare trasformazioni d’interesse alimentare, costituisce una risorsa centrale per le sfide alimentari dei prossimi anni, a tutela della quale stanno nascendo sempre più iniziative volte alla conservazione di questi organismi.

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Stay tuned,

BGreen team

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Bibliografia

  1. Elaborazione Ufficio Studi Federalimentare
  2. XVI Rapporto IsmeaQualivita, 2018

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